Il mito (II parte)


La luce del fuoco, meno potente di quella solare, illumina e proietta questo mondo semi-vero.
Gli uomini della caverna scambieranno le ombre proiettate sul fondo per verità, così come le voci degli uomini dietro il muro: in realtà è solo l'eco delle voci reali.
….
Supponiamo che uno degli uomini incatenati riesca a liberarsi: subito si volterebbe e comincerebbe a vedere fuori gli oggetti portati da dietro il muro non più riflessi sul fondo della caverna.
Poi comincerà ad uscire ma sarà piuttosto riluttante perché infastidito dalla luce alla quale era desueto: quando finalmente uscirà si sentirà completamente smarrito e disorientato. Comincerà a guardare indirettamente la luce solare: ad esempio la osserverà riflessa su uno specchio d'acqua. Man mano che la vista si abitua guarda gli oggetti veri: gli alberi, i fiori.
In un secondo tempo le stelle e poi riuscirà perfino a vedere il sole.

L'uomo che è fuggito … alla fine decide di calarsi nella caverna e quando arriva in fondo non vede più niente, è come se fosse accecato. Sostiene di essere tornato per condurli in un'altra realtà, ma essi lo deridono perchè non riesce più neppure a vedere le ombre riflesse sul fondo.
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Il mito della caverna

Cosa sappiamo veramente?
Possiamo essere sicuri di qualcosa? Sono forse ombre riflesse quelle che percepiamo come "cose vere"?
Platone capiva il problema. Platone si chiedeva quali garanzie potesse darci il mondo sulla realtà delle cose, Platone non era soddisfatto di una conoscenza senza fondamento, Platone voleva una certezza logica, immutabile, garantita per dare un senso all'esistenza.
Platone ragionava: quello che vedo, a volte, mi inganna, perché non potrebbe ingannarmi sempre? Il fatto che io, spesso, non mi accorga dell'inganno rende l'inganno meno grave?
Come posso fidarmi?
Dopo 4000 anni noi siamo ingannati dalle cose esattamente come Platone, ma abbiamo smesso di farci delle domande a proposito: la realtà non conta più, è l'impressione che regna, questo è il regno dell'immagine.
Non importa se qualcosa sia vero o meno, conta solo quanta gente ci crede (o fa come se ci credesse); non conta se qualcosa sia giusto o sbagliato, vale solo quanta gente lo sa.
E la gente non sa più nulla.
Platone forse non lo percepiva in modo così determinante, ma era il suo "farsi queste domande" che lo qualifica ancora oggi come un grande essere umano. Kant diceva di "usare l'umanità, in noi come negli altri, sempre come fine, mai come mezzo", voleva dire, fra l'altro, che occorre rispettare il nostro essere umani, occorre continuare a porci le domande, anche quando la risposta è lontana, anche se la risposta non c'è.
Rousseau scriveva: " un uomo veramente libero vuole solo ciò che può e fa solo ciò vuole", ma se non si fa domande, non saprà mai cosa vuole, né cosa può.
Allora noi, oggi, siamo davvero uomini "duri", cui nulla è impossibile, ai quali il mondo "gira intorno", anzi cui il mondo " è tutto intorno" o siamo dei ben pasturati "cervelli nella vasca"?