GIOVANNI BURIDANO

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Giovanni Buridano , nato verso il 1290 e morto non prima del 1358 , fu maestro e rettore della facoltà delle Arti dell' università di Parigi ( nel 1328 e 1340 ) . Sulla scia del " Filosofo " , ossia di Aristotele , alle cui opere scrisse parecchi commenti , Buridano riconosce il primato all' esperienza sensibile : la conoscenza concettuale é l' equivalente di una conoscenza sensibile confusa , nella quale un oggetto vista da lontano rimane indeterminato . E' la percezione sensibile diretta che consente di precisare di quale oggetto si tratti . Con Ockham Buridano condivide la tesi che le entità esistenti sono individuali : egli é in altri termini un nominalista , ossia nega l' esistenza degli universali . Sulle entità esistenti , che sono appunto individuali , si possono fare solo affermazioni contingenti , non necessarie , anche perchè ciò sarebbe in contrasto con l' onnipotenza divina , che può fare le cose diversamente da come sono . Infatti , negando l' esistenza degli universali , Buridano , sulle orme di Ockham e degli altri nominalisi , toglie a Dio l' apparato ideale : in altre parole , se si ammettono gli universali ( o idee che dir si voglia ) , allora Dio ne sarà vincolato : avrà insito nella sua mente tutto l' apparato ideale : il fatto di creare l' uomo e il mondo dipende da lui , ma il fatto di pensarlo no : é nella sua stessa natura il pensare agli universali e non può farne a meno ( " Dio può tutto , ma non può non essere Dio " ) . Ma se essi non ci sono allora Dio può davvero tutto : può perfino stravolgere le leggi fisiche ( vedi i miracoli ) . Quindi per Buridano nulla é necessario e tutto dipende dall' infinita onnipotenza divina . Su queste basi , poi , Buridano avanza una serie di ipotesi alternative rispetto alla fisica aristotelica , ritenuta indiscutibile e inconfutabile nel Medioevo , per esempio assumendo l' ipotesi dell' esistenza del vuoto per indagare quali conseguenze ne derivino . Il suo contributo più noto alla fisica consiste nella sua riformulazione della dottrina dell' impetus . Per Aristotele il movimento violento di un corpo avviene per contatto tra ciò che muove e ciò che é mosso . Come si spiega allora che un corpo lanciato da qualcosa persiste nella sua traiettoria anche dopo che si é allontanato dal suo motore ? Esaminiamo meglio il punto di vista aristotelico : Se tiriamo una penna per aria , noi sappiamo che per un pò sale in quanto le diamo un impulso che la fa salire per un pò : per Aristotele non è così . Lui è convinto che ogni cosa che si muove è mossa da altre (da una causa efficiente) : non ammette che una cosa tenda a mantenere lo stato in cui viene posta (principio di inerzia) ; Questo vale sia per i moti naturali sia per quelli violenti . Aristotele dice che se lancio in aria una penna essa trascina movimenti circostanti e composti : viene qui messo in gioco l'ambiente : è l'ambiente che secondo Aristotele porta su per un pò la penna . Facciamo qualche osservazione : se Aristotele ammette quest'idea , vuol dire che nega l'esistenza del vuoto : non esiste neanche come vuoto relativo (come era per Democrito ) : se ci fosse il vuoto salirebbe all'infinito . Il principio di inerzia mi dice che se conferisco movimento ad un corpo , esso tende a tenere quel moto all'infinito : questo significa che sia quiete sia moto sono stati : se un oggetto si muove quindi ciò che va spiegato è perchè si fermi : dovrebbe per il principio di inerzia proseguire in quel moto all'infinito . Bisogna quindi spiegare il mutamento di stato (da moto passa ad inerzia) . Per Aristotele invece non va spiegata la quiete ma il movimento , che è una forma di cambiamento : è un passaggio da potenza ad atto : la penna è qui ma potrebbe essere lì ; la sposto ed ecco che è lì . Il mutamento-movimento per Aristotele richiede una causa . Per noi va invece spiegata l'accelerazione , il cambiamento di velocità . Il lancio della penna mi spiega che acquista un movimento teoricamente infinito ; per Aristotele è normalissimo che la penna dopo un pò cada : essa tende al suo luogo naturale : quello che per lui va spiegato è perchè per un pò essa tenda a salire . Per Aristotele la quiete è uno stato , il movimento un mutamento (ed i mutamenti vanno spiegati) . Per noi sono entrambe stati . In altre parole la risposta che Aristotele dà alla domanda : " come mai un corpo lanciato da qualcosa persiste nella sua traiettoria anche dopo che si é allontanato da ciò che l' ha mosso ? " é che " tale corpo continua ad essere mosso dall' aria in contatto con esso " . Secondo Buridano , invece , molte esperienze mostrano che la causa non può essere l' aria , come nel caso di un moto rotatorio o di una nave spinta in un fiume . La causa della persistenza del movimento risiede piuttosto in un impulso ( in latino impetus ) impresso dal motore al corpo . Tale impulso é proporzionale alla velocità iniziale e al peso del corpo messo in movimento e consente a quest' ultimo di proseguire nella direzione iniziale e con velocità costante , finchè lo consente la resistenza del mezzo : in questa teoria gli studiosi hanno voluto scorgere un precorrimento del principio di inerzia . Buridano , poi , avanza l' ipotesi che la dottrina dell' impetus possa spiegare anche il moto dei corpi celesti : in questo caso l' impulso iniziale sarebbe impresso da Dio e si conserverebbe in quanto non sarebbe diminuito o distrutto da una forza opposta . In tal modo diventa del tutto inutile l' ipotesi , passata da Aristotele ai suoi commentatori arabi , dell' esistenza di intelligenze motrici , talora identificate con gli angeli della tradizione cristiana . Pensiamo anche a quanto diceva Platone nel suo libro fisico , il Timeo : i pianeti per lui erano esseri viventi , vere e proprie divinità . Essi hanno regolarità di moto , dove c' é moto c' é vita , dove c' é regolarità c' é intelligenza , quindi i pianeti sono vivi e intelligenti ; non a caso i pianeti li chiamiamo ancora oggi con il nome di divinità . A Buridano é attribuito anche l' esempio dell' asino , che posto tra due fasci uguali di fieno , rimarrebbe indeciso e morirebbe di fame . L' esempio non si trova nelle sue opere , ma é ricavabile dalla sua dottrina secondo cui la volontà nelle sue scelte segue necessariamente il giudizio dell' intelletto . Nel caso in cui si tratta di scegliere tra beni maggiori e minori , non c' é problema . La difficoltà nasce quando i beni , tra i quali occorre scegliere , sono equivalenti : in tal caso l' intelletto non fornisce indicazioni , la volontà resta indecisa , la scelta non ha luogo e si fa la fine dell' asino .