La storia (continua)

L'unico modo per conoscere la vera faccia di Matrix è osservarlo attraverso uno schermo dove scorrono cascate interminabili di codici digitali. Durante l'addestramento di Neo, a cui è stata svelata la verità nella speranza di aver trovato in lui l'eletto, il salvatore dell'umanità dalla schiavitù di Matrix, assistiamo ad un combattimento di allenamento tra lui e Morpheus all'interno di un programma che simula una palestra di Kung-fu. Mentre i loro corpi reali giacciono inermi e la corteccia cerebrale è collegata direttamente alla simulazione, i loro avatar si sfidano in quella che potrebbe essere la versione fantascientifica di Tekken III, il videogioco che permette le stesse acrobazie, la stessa combinazione di violenza ed eleganza orientale, e un simile gioco di stacchi, rallenti e zoomate per sottolineare le mosse più micidiali e spettacolari. La differenza è che qui ci si fa male sul serio: la simulazione è infatti talmente realistica che ogni colpo subito dal proprio avatar si riperquote sul corpo reale; e se si viene uccisi, qui come in Matrix, si muore davvero, poiché il cervello è talmente convinto della realtà di ciò che gli sta accadendo da tradurre gli avvenimenti virtuali in realtà, finanche la sofferenza fisica. La progressiva maturazione di Neo, fino all'assunzione del proprio ruolo di salvatore dell'umanità, è proprio legata al riconoscimento dell'illusorietà di Matrix e di tutto ciò che Matrix ha determinato, compresa l'identità stessa del protagonista. «Io sono Neo» grida ai suoi nemici che si ostinano chiamarlo con il suo nome "reale", cioè io sono nuovo, non appartengo a questa simulazione e dunque posso dominarla. Riconosco che la mia identità non è nulla , semplice prodotto di una simulazione elettronica, e faccio di questa consapevolezza la mia arma. Si chiama Neo, ma potrebbe chiamarsi anche Nemo, Nessuno: come Ulisse sconfigge Polifemo "giocando" sulla proprio identità, così Neo vince perché comprende di trovarsi in un gioco e ne assume il controllo, proprio rinunciando alla funzione di pedina che gli era stata assegnata. È la capacità di giocare che ancora delimita il confine, sempre più labile, tra uomo e alieno.Improvvisamente, la natura digitale di Matrix si mostra ad occhio nudo a Neo, che vede scorrere i codici digitali sugli oggetti e sui nemici. Non ha più bisogno dello schermo, che nel film è quasi sempre uno strumento di controllo, un simbolo di distanza, di impotenza, di incomprensibilità, di separazione tra una realtà tanto assurda da essere incredibile ed una virtualità tanto prefetta da confondersi con il reale. Ora Neo può fermare le pallottole con la forza del pensiero e abbattere i suoi terribili nemici con lo sguardo ironico di chi non si sta impegnando troppo: il gioco è appena iniziato. [...] «Io ti posso portare fino alla soglia - ripete Morpheus a Neo, - tocca a te oltrepassarla».

Da Platone a Baudrillard: zeppo di riferimenti filosofici il nuovo episodio della trilogia cinematografica dei Wachowski

[...] Perché Matrix è innanzitutto filosofia.
Il film, infatti, non solo si è conquistato l’interesse dei filosofi di tutto il mondo, animando un intenso dibattito, ma è intriso di riferimenti filosofici.
Da Cartesio alla Bibbia, dallo Zen a Platone, a Orwell: numerosi sono i riferimenti filosofici contenuti in Matrix, tanto che i fratelli Wachowski hanno avvertito gli spettatori che non riusciranno mai a individuarli tutti. Una scommessa che non ha tardato ad essere raccolta da più parti: non solo sul sito ufficiale di Matrix è stata aperta una sezione dedicata alla filosofia con contributi di docenti universitari e pensatori, ma di questo tema si occupano anche due saggi da poco pubblicati - «The Matrix and philosophy: welcome to the desert of real» (William Irwin Editor, 2002) e «Taking the red pill: science, philosophy and religion in The Matrix» (Glenn Yeffeth Editor, 2003,) - mentre l’autorevole rivista inglese Philosophical Quarterly (2003, Vol. 53, No. 211) contiene un articolo dal titolo «State vivendo in una simulazione computerizzata?», nel quale Nick Bostrom, docente a Yale, prende in esame alcuni risvolti dello scenario post-umano rappresentato in Matrix.
I film della trilogia si ispirano alla teoria postmoderna del filosofo francese Jean Baudrillard, citato esplicitamente nel soggetto originale. In una delle sequenze iniziali del primo film il protagonista Neo (Keanu Reeves) usa proprio un libro di Baudrillard - una copia di «Simulacra and simulation» (1983) - per nascondere uno dei software piratati di cui fa illegalmente commercio. E quasi per invitare gli spettatori a leggere o a rileggersi quest’opera, i registi hanno alterato alcuni particolari del testo: quando Neo apre il libro a metà, compare la prima pagina del capitolo finale, intitolato «Sul nichilismo».
In «Simulacra and simulation» Baudrillard osserva come la proliferazione delle immagini che caratterizza la società capitalistica e tecnologica abbia indotto un movimento che va dalla «rappresentazione» di qualcosa che esiste nella realtà a una «simulazione» che non ha referenti reali e che assume il potere di modellare il reale. Agli interpreti di Matrix i registi hanno imposto una condizione: la lettura del testo di Baudrillard. Il filosofo, però, non ha gradito l’omaggio, considerando inappropriato il riferimento al suo pensiero: contattato dai Wachowski per collaborare alla sceneggiatura dei due sequel, si è rifiutato di prendere parte all’impresa.
Tra i referenti filosofici di Matrix ci sono anche le due più celebri opere del logico e matematico inglese Lewis Carroll, «Alice nel Paese delle Meraviglie» e «Attraverso lo specchio». Nella scena in cui s’incontrano per la prima volta, lo hacker Morpheus offre a Neo la scelta tra la pillola blu - «La storia finisce. Ti svegli nel tuo letto e credi qualunque cosa tu voglia credere» - e la pillola rossa - «Rimani nel Paese delle Meraviglie e ti mostro quanto è profonda la tana del bianconiglio». È da questa scelta che inizia il gioco di commistione tra realtà e virtualità, il quale introduce una questione strettamente filosofica: cos’è reale? cos’è illusorio? i sensi ingannano?
Ed ecco che il pensiero non può non andare al mito platonico della caverna, ai dilemmi scettici di Cartesio, ai «cervelli nella vasca» di Daniel Dennett. Come gli uomini prigionieri nella caverna platonica vedono solo le ombre della realtà, così l’uomo che vive nell’era della tecnica è uno «schiavo digitale», cui è preclusa la visione dell’essenza delle cose; egli percepisce solo le visioni fatte balenare da Matrix, riflessi di una realtà che conoscerà solo quando avrà spezzato le catene del controllo esercitato dalle macchine.
Il dubbio sulla veridicità delle impressioni sensibili - e dunque sulla realtà dell’esistenza stessa dell’essere senziente - tormentò anche il filosofo francese René Descartes. Il celebre cogito ergo sum - "penso, dunque esisto" - è la soluzione cartesiana al dilemma scettico: se tutto ciò che percepisco con i sensi può essere messo in dubbio, l’unica certezza è il mio dubbio stesso, il mio pensiero. E un pensiero non può esistere se non esiste anche colui che pensa.
L’argomento cartesiano ha anche una sua versione moderna, nota come l’ipotesi del «cervello nella vasca» ed elaborata da Daniel Dennett. La versione filosofica più vicina a quella rappresentata da Matrix, tuttavia, è quella offerta dall’americano Hilary Putnam, che nel libro «Ragione, verità e storia» (1981) immagina che tutti gli esseri senzienti siano cervelli in una vasca che vivono le esperienze fornite loro da un supercomputer. L’umanità, dunque, vivrebbe in una sorta di allucinazione collettiva. Impossibile non notare la connessione con questa teoria nella scena in cui Neo esce da Matrix e scopre di essere sempre vissuto in una vasca, collegato ad alcune macchine per le quali egli era una fonte di energia.
L’elenco dei riferimenti filosofici e religiosi presenti in Matrix potrebbe proseguire all’infinito. Si potrebbe notare, ad esempio, l’influenza delle teorie malthusiane sull’idea, che nel film è professata dalle macchine, che l’umanità sia una sorta di virus della terra, capace solo di fagocitare risorse e di rompere equilibri naturali; oppure si potrebbe rilevare il valore simbolico dei nomi dei protagonisti: «Nabucodonosor», la nave di Morpheus, è il nome del re mesopotamico che conquistò la Palestina; Zion, l’ultima città degli uomini, è sinonimo di Gerusalemme nella tradizione giudaica.
Sopravvalutare la portata filosofica di Matrix, però, sarebbe un errore. Il film, infatti, soffre di un difetto strutturale: pur presentandosi come sovversivo e contestatore di un sistema, finisce per farsene la massima espressione. È vero però che la sua forza e la sua credibilità - al di là degli effetti speciali che ne denunciano l’appartenenza al mondo effimero dell’immagine e della simulazione che vorrebbe stigmatizzare - provengono dal suo sostrato filosofico: Matrix non dice nulla di nuovo, ma ripropone tante idee, in una sorta di grande déjà vu visivo. Proprio quel déjà vu che nel mondo immaginario di Matrix è il sintomo di un'imperfezione nel programma informatico di simulazione della realtà nel quale gli uomini sono immersi.

di Emiliano Ippoliti - fonte: Il Tempo - sito Web Italiano per la Filosofia